IL PROGETTO DEL MUSEO DEL MARE A GELA

Uno dei tanti scandali della gestione dei Beni culturali in Sicilia così come scandaloso è il fatto che l’unica delle quattro navi tirata su dai fondali di contrada Bulala e mandata a restaurare nei laboratori di Portsmouth in Inghilterra con una ingentissima spesa non sia ancora esposta al pubblico. Sono passati quasi dieci anni dal suo recupero e tre dal completamento del suo restauro ma per quanto incredibile sembri quel galeone giace dal 2014 smontato a pezzi in alcuni scatoloni ammassati nei magazzini del museo archeologico di Gela. Dove non esiste un ambiente grande abbastanza ad ospitare la nave rimontata. E non è il solo reperto a rimanere chiuso o a finire altrove. Molti degli oggetti recuperati in mare negli ultimi anni, anfore, elmi, vasellame, statuette, sono stati distribuiti in diversi musei siciliani semplicemente perché in quello di Gela mancano persino le vetrine dove esporli.
Il soprintendente del mare Sebastiano Tusa è più che consapevole di essere un Don Chisciotte. «Io lavoro grazie ai miei contatti personali, ci sono studiosi di tutto il mondo che mi offrono la loro disponibilità a venire a lavorare in Sicilia, sponsor privati che ci danno una mano, ma per campagne di recupero così importanti come quella che potrebbe essere avviata a Gela ci sono molti altri interrogativi da porsi oltre a quello dei costi. Paradossalmente questo patrimonio si conserva meglio nella sabbia che chiuso in uno scatolone, A cosa serve tirare fuori quelle navi se poi non abbiamo dove metterle? Il bilancio annuale della Regione per i Beni culturali è passato da 100 a 18 milioni di euro e l’Italia investe in questo campo lo 0,7 del Pil a fronte, ad esempio, del 3 per cento della Francia. È amaro dirlo, ma ormai continuiamo a lavorare solo per la nostra passione».
E poi c’è il paradosso dei centri di restauro. In Sicilia, nonostante le molte professionalità e naturalmente il patrimonio enorme che darebbe continuo lavoro a questo tipo di attività, non ne esiste uno. E dunque
E poi c’è il paradosso dei centri di restauro. In Sicilia, nonostante le molte professionalità e naturalmente il patrimonio enorme che darebbe continuo lavoro a questo tipo di attività, non ne esiste uno. E dunque
una campagna di scavi deve essere spedita fuori con il conseguente aumento esponenziale dei costi. «Anche questo è uno scandalo — dice Tusa — bisogna mettersi in testa che se in Sicilia vogliamo rendere fruibile questa enorme ricchezza che abbiamo e che ci invidia tutto il mondo, ci vogliono musei, laboratori, strutture didattiche. Il resto sono solo parole e spreco di tempo e di quei pochi soldi che abbiamo».
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